Lezione di storia comunista al ministro Valditara

Il ministro dell’Istruzione e del merito Giuseppe Valditara, in occasione della ricorrenza del crollo del Muro di Berlino, il 9 novembre ha scritto una lettera agli studenti per dire la sua sul comunismo. Nella lettera, il ministro scrive che il comunismo “nasce come una grande utopia: il sogno di una rivoluzione radicale che sradichi l’umanità dai suoi limiti storici e la proietti verso un futuro di uguaglianza, libertà, felicità assolute e perfette. Che la proietti, insomma, verso il paradiso in terra. Ma là dove prevale si converte inevitabilmente in un incubo altrettanto grande: la sua realizzazione concreta comporta ovunque annientamento delle libertà individuali, persecuzioni, povertà, morte”.

Siamo di fronte a un’interpretazione banale della Storia, degna della propaganda di un qualsiasi pennivendolo liberale (tanto di destra quanto di sinistra). Valditara è un professore universitario di Diritto privato e pubblico romano, è stato direttore scientifico della rivista giuridica Studi giuridici europei, nonché preside del corso di laurea in Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Torino. Non certo un ignorante! Questo cattedratico, già presente in parlamento dal 2001 al 2013 nelle fila di Alleanza Nazionale, si è prestato ai luoghi comuni più abusati che la nuova destra e parte della sinistra liberal utilizzano per screditare quello che è stato il comunismo.

Il pensiero di Marx ed Engels è stato applicato in diverse occasioni nel corso del XX secolo, in contesti geografici e temporali differenti. Il movimento comunista mondiale nasce con la Rivoluzione d’Ottobre e con la formazione della Terza Internazionale, ma solo un’analisi pressapochista lo relegherebbe al totalitarismo staliniano, agli orrori che hanno caratterizzato i regimi extraeuropei marxisti-leninisti e al rigido autoritarismo burocratico che segnò i Paesi dell’Est Europa.

I partiti comunisti europei sono quelli che hanno dato il contributo maggiore, rispetto agli altri partiti antifascisti, alla sconfitta del nazifascismo. I partiti comunisti europei, dal 1945 al 1948-49, governano in quasi tutti i Paesi europei democraticamente, collaborando con le altre forze politiche, dai socialisti/socialdemocratici, ai cristiano sociali, fino ai liberalconservatori. È il caso dell’Italia e della Francia, ma anche dei Paesi est europei.

In Francia, nei governi di coalizione con al loro interno il PCF, i ministri comunisti contribuiscono nel biennio 1945-47 a riforme che migliorano la qualità della vita di milioni di cittadini. Il ministro del Lavoro Ambroise Croizat assicura la previdenza sociale, ristabilisce le 40 ore e le ferie pagate, aumenta le pensioni di vecchiaia; il ministro della Difesa François Billoux realizza la legge sui danni di guerra per tutelare i mutilati e gli invalidi; il ministro agli Armamenti Charles Tillon permette la rinascita dell’aeronautica e la trasformazione delle industrie belliche in fabbriche di trattori, macchine agricole e autocarri, contribuendo alla salvaguardia di centinaia di migliaia di posti di lavoro e allo sviluppo agricolo industriale del Paese; il ministro ai Veterani e alla Vittime di Guerra Laurent Casanova aumenta le pensioni dei mutilati e dei deportati; i ministri della Sanità René Arthaud e Georges Marrane istituiscono la direzione dell’infanzia per tutelare i tanti orfani di guerra e contribuiscono alla realizzazione di molti ospedali; il vice primo ministro e segretario del PCF Maurice Thorez nazionalizza molte miniere, con un aumento di produzione del carbon fossile che calerà solo dopo la cacciata dei comunisti dal governo.

Ai comunisti francesi si deve la maggiore opposizione al colonialismo (mentre socialisti, radicali e partiti moderati sono stati ambigui o dichiaratamente avversi a ogni lotta di liberazione nazionale, dal Vietnam all’Algeria). Il PCF ha sempre sostenuto il voto femminile ed è quello nelle cui fila hanno militato e sono state elette il maggior numero di donne. Questo, nonostante nella base molti militanti uomini erano ostili all’estensione del suffragio alle donne, considerate facilmente soggiogabili dalla propaganda del clero e dei capitalisti.

Nel 1947 il clima europeo di unità antifascista muta. Nonostante Yalta, per due anni tanti Stati europei avevano visto i partiti comunisti al governo con le altre formazioni. Nel 1947 il presidente degli Stati Uniti Harry Truman impone la sua celebre dottrina: il comunismo va combattuto e limitato. Nel maggio dello stesso anno i comunisti sono estromessi dai governi di Francia e Italia. Inizia la guerra fredda, che vedrà fino alla caduta del Muro di Berlino l’Europa spaccata in due. Viene così fatta la volontà dei due “padroni” vincitori della Seconda Guerra Mondiale: Stati Uniti e Unione Sovietica. Se nell’Europa occidentale i comunisti (e in Italia anche i socialisti di Pietro Nenni), che non avevano mai attentato alla democrazia, vengono cacciati dai ruoli di comando (dove stavano dando enormi contributi al miglioramento della qualità della vita di popoli usciti a pezzi dal conflitto mondiale), nell’Europa orientale le forze anticomuniste vengono estromesse brutalmente, come nel caso del colpo di Stato voluto da Stalin che nel 1948 pone fine alla Terza Repubblica Cecoslovacca. La Cecoslovacchia passa da un regime democratico con ministri di ogni area politica a un regime burocratico simile a quello sovietico. Il ministro degli Esteri, il socialista Jan Masaryk, viene trovato morto sotto la finestra del suo ministero. Masaryk era favorevole all’ingresso della Cecoslovacchia nel Piano Marshall, trovandosi così in forte scontro con il Partito Comunista Cecoslovacco, che, su indicazione di Mosca, era contrario. Le autorità di Praga definiscono “suicidio” la morte del ministro, ma, come per l’anarchico italiano Giuseppe Pinelli, è altamente probabile che qualcuno lo abbia buttato dalla finestra. Gli orrori a Est proseguono e, tra la fine degli anni quaranta e i primi anni cinquanta, diversi dirigenti comunisti, accusati di “deviazionismo di destra”, vengono arrestati o condannati a morte. Si tratta di quei comunisti più critici verso la linea di devozione assoluta a Mosca voluta da Stalin. Questi, vittime dello stalinismo al pari di quelli uccisi o deportati durante le grandi purghe di fine anni trenta, sono l’emblema di una repressione alle voci democratiche interne ai partiti comunisti. Diversi comunisti abbassano la testa a Stalin, altri finiscono fucilati o impiccati. Tra le vittime comuniste dell’ultima repressione staliniana ricordiamo i cecoslovacchi Rudolf Slansky e Vladimir Clementis, l’ungherese Laszlo Raik, il rumeno Lucretiu Patrascanu, il bulgaro Traicho Kostov e l’albanese Koçi Xoxe.

Proprio il Piano Marshall sarà l’arma di Truman per indebolire i comunisti. Il programma di aiuti che prende il nome dall’allora Segretario di Stato degli Stati Uniti George Marshall permette agli Stati dell’Europa occidentale di risollevarsi dalle macerie della guerra. Gli Stati europei sacrificano la propria sovranità nazionale, la stessa oggi tanto decantata dagli esponenti del governo Meloni, in cambio di preziosi aiuti economici. Il cosiddetto “mondo libero”, che comprendeva stati colonialisti come Regno Unito, Francia e Olanda e persino dittature di destra come il Portogallo di Salazar, ha un’innegabile spinta di sviluppo economico in chiave capitalista.

Gli Stati Uniti, pur parlando di “mondo libero” contrapposto al comunismo dittatoriale, appoggeranno in chiave anticomunista alcuni dei regimi più brutali del novecento, dalla Grecia dei colonnelli al Cile di Pinochet. Grazie alla presenza di comunisti e socialisti, seppur all’opposizione, Francia e Italia salvaguardano diversi diritti sociali dei lavoratori. Solo negli anni novanta, decennio della definitiva vittoria del capitalismo sul socialismo, queste conquiste saranno guarda caso messe in discussione.

Stalin risponde al Piano Marshall con il Consiglio di mutua assistenza economica (Comecon). Questo piano di aiuti che parte da Mosca verso gli Stati finiti sotto l’orbita sovietica è stato ovviamente inferiore a quello statunitense. Durante la seconda guerra mondiale gli Stati Uniti avevano perso lo 0,2% della loro popolazione e non avevano avuto danni interni; lo stesso non si può dire del Paese che diede il contributo di sangue maggiore alla sconfitta del nazifascismo, l’Unione Sovietica, che perse un decimo della sua popolazione e vide la sua parte più produttiva, quella europea, martoriata dai bombardamenti.

Il comunismo staliniano, come quello successivo alla fase di destalinizzazione, è stato autoritario e ha rallentato lo sviluppo culturale ed economico dei Paesi dell’Est Europa. L’imperialismo statunitense ha limitato la politica degli Stati Nazionali dell’Europa occidentale, ma ha garantito un benessere innegabile e mai vissuto prima da quelle popolazioni. Un’analisi superficiale, come quella del ministro Valditara, crea la dicotomia comunismo-cattivo versus capitalismo-buono. Si tratta di una sintesi che non tiene conto di tutte le vittorie politiche ottenute dai comunisti europei, dai fronti popolari degli anni trenta in Francia e Spagna (quest’ultimo disintegrato dal franchismo), ai governi in alleanza con i socialdemocratici in Scandinavia.

Il comunismo nasce dalle geniali idee di Marx ed Engels, che a distanza di quasi due secoli sono ancora attuali. I comunisti del XX secolo condannarono la guerra, il colonialismo e il razzismo, difesero gli interessi dei contadini e degli operai, lottarono per i diritti della donna: si può dire lo stesso di tanti altri partiti, democratici e non? Nel 1946 i leader dei partiti comunisti europei, il bulgaro Gheorghi Dimitrov, il cecoslovacco Klement Gottwald, l’italiano Palmiro Togliatti e il francese Maurice Thorez, dichiararono che “la dittatura del proletariato non è la sola via che conduce al socialismo”. Questi leader comunisti, alcuni dei quali erano ben a conoscenza degli orrori dell’Urss staliniana (Togliatti su tutti), sapevano che i Paesi europei avevano vissuto uno sviluppo capitalistico e democratico che non si era realizzato in Russia, dove si era passati nel giro di poco tempo da una monarchia assoluta a una rivoluzione proletaria. L’assenza di una forte società civile e di città industrializzate (tranne Pietrogrado e Mosca), l’alto analfabetismo e l’opposizione armata delle forze reazionarie, avevano spinto Lenin a irrigidire il sistema dei soviet e ad accentrare il potere in un unico partito. Lo stesso non si poteva fare in contesti diversi, come nei paesi europei del secondo dopoguerra. Qui i comunisti decidono di partecipare alle democrazie parlamentari, governando e scontrandosi con gli altri partiti. Sta per nascere un’Europa nuova, dove comunisti, socialisti, radicali, cristiano democratici e liberali governano assieme per il bene comune. L’imperialismo capitalista statunitense prima e l’imperialismo sovietico moscovita poi (le cosiddette sfere di influenza) rovineranno questa Europa, creandone due, divise da una cortina di ferro che in un quarantennio decreterà un vincitore e un vinto.

Il comunismo ha avuto diversi aspetti. Solo un ignorante può identificarlo tutto in Stalin, nei regimi a partito unico e nei carri armati di Mosca. Un ministro italiano, specie se dell’Istruzione, dovrebbe ricordare il lavoro svolto dal partito comunista del proprio Paese per il benessere dei ceti meno abbienti della popolazione. Cosa che il PCI ha contribuito a fare fin dalla sua nascita, per proseguire il suo lavoro negli anni della clandestinità sotto il regime fascista e nella nuova fase democratica e repubblicana sorta dopo la Seconda Guerra Mondiale. L’impegno dei comunisti italiani, Antonio Gramsci in testa, nella lotta ai fascismi e nella tutela dei lavoratori è innegabile. Così come la denuncia degli orrori del capitalismo, dall’alienazione in fabbrica alle morti sul lavoro, dalla repressione nel sangue per gli scioperanti all’assenza di tutele sociali. Solo i cristiano sociali possono vantarsi di aver lottato, seppur più timidamente e dal 1947 sottomessi all’imperialismo yankee, per i diritti dei ceti popolari. Nel corso del XX secolo l’impegno maggiore per la difesa degli interessi dei lavoratori, dalla Francia alla Grecia, è stato dei partiti comunisti. Con tutte le loro ambiguità, specie in politica estera, è merito dei partiti con la falce e martello se oggi, in un’epoca in cui i capitalisti dominano la società, pezzi di stato sociale resistono e permettono a tutti i cittadini di avere garantiti diritti basilari.

Leonardo Marzorati, segretario Risorgimento Socialista Lombardia

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